La donna romana (prima parte)

Il modello tradizionale di donna romana può risultare famigliare, per non dire quanto mai moderno, agli occhi del pubblico che l'analizza: figlia obbediente prima, moglie devota poi e madre in seguito, laboriosa e poco istruita, lontana da occhi indiscreti. Un cliché ben assortito dall'antichità fino a (quasi) i giorni nostri, passando per il Medioevo e l'età moderna. La donna romana offre un arco di studio quanto mai vario e approfondito in quasi tutti gli aspetti della sua vita quotidiana, dalla routine agli aspetti sociali e morali, che è tutt'altro che semplicistico: è vero che la dicotomia donna virtuosa - donna perduta (perché magari di condizione sociale servile oppure adultera) costituiva il grosso della concezione femminile del mondo romano, ma analizzando queste donne si scoprirà che il quadro è molto più complesso. La società romana ci ha tramandato figure di donne altamente istruite e libere di disporre dei loro patrimoni a piacimento, di scegliersi gli amanti e di condurre una vita - quanto mai - emancipata ma, ahimè, tali esempi restano circoscritti all'alta aristocrazia. Delle donne più umili poco si sa, e probabilmente si saprà, e quel poco che conosciamo è legato alla tradizione rurale del mondo italico e, più generalmente, antico (non dimentichiamo che la donna greca era poco più di una schiava e che non si emancipo' mai).  Non dobbiamo dimenticare - tuttavia - che ciò che sappiamo a proposito di queste donne è legato a testimonianze quasi sempre maschili e fortemente critiche nei confronti del mondo femminile, e dunque è necessario soppesare qualsiasi informazione.


Il modello più diffuso di donna romana era, senza dubbio, quello legato alla tradizione arcaica di Roma, rappresentato dalla figura di Lucrezia. La sua sfortunata storia servirà da modello per tutte le generazioni di donne successive: moglie fedele e laboriosa, preferì suicidarsi dopo aver subito uno stupro anziché far vivere il marito nella vergogna. Analogo l'episodio della giovane e bellissima Virginia, uccisa dal padre per preservarne l'onore anziché concederla alle voglie del decemviro Appio Claudio. 
Sin da subito, quindi, la donna romana fu destinata ad una dimensione prettamente casalinga, filando e tessendo; questa sua condizione si evince anche dal sistema onomastico tradizionale, che attribuiva all'uomo nato libero tre nomi (tria nomina), mentre alla donna soltanto due, non avendo diritto alla vita politica. Il nome personale era però sconosciuto agli estranei, come se ciò potesse proteggerle. Non si tratta tanto di misogamia, quanto piuttosto di una consuetudine antichissima, che riconosceva nella differente natura dei sessi la divisione dei lavori. Le donne, dunque, sarebbero escluse dai lavori pubblici e dalla vita militare per la loro natura più fragile. 
Se pensiamo alle donne medievali, possiamo vedere come molti aspetti siano comuni: la donna virtuosa era colei che si nascondeva agli sguardi altrui, che restava fedele al marito ed alla famiglia, che parlava poco. L'abbigliamento più consono era frugale e poco disinibito, per distinguersi dalle prostitute, con un uso moderato di trucco e unguenti; viene subito alla mente il caso di Cornelia, la figlia di Scipione l'Africano, che preferiva adornarsi della virtù dei figli anziché di gioielli e belletti. Cornelia fu importantissima per la formazione e le attività politiche dei due figli Tiberio e Gaio Gracco, entrambi tribuni della plebe e dotati di un eloquio eccellentissimo. Ella fu un caso raro, tuttavia: alcune donne erano abbastanza istruite da poter insegnare ai figli e alle figlie, ma si trattava pur sempre di un numero molto ristretto, relativo all'élite aristocratica o senatoriale, e non sempre vista di buon occhio. Una donna colta poteva, infatti, risultare molto antipatica ad un  uomo come quello romano, abituato a pontificare su tutto e a veder riconosciuta la propria superiorità.


Si trattava, dunque, di una società patriarcale dove tutto ruotava attorno alla componente maschile della società e della famiglia; la donna era poco di un oggetto che passava dalla tutela del padre a quella del marito, sebbene con la fine della Repubblica qualcosa cambiò. Al matrimonio cum manu (da cui deriva  l'atto, oggi perlopiù figurativo, di chiedere al padre la mano della figlia) si passò a quello sine manu, che permetteva alla donna di conservare i suoi beni all'interno della propria famiglia, senza doverli cedere al marito. La trasformazione del rito matrimoniale provocò un movimento all'interno della società: le donne divennero, per la prima volta, libere di disporre dei propri patrimoni, emancipandosi. C'è comunque da sottolineare che le donne potevano divorziare già dall'età arcaica: il matrimonio poteva essere annullato in caso di sterilità o infedeltà della donna, o nel caso venisse a mancare l'adfectio maritalis, cioé la voglia di anche solo uno dei coniugi di vivere assieme. I divorzi divennero così numerosi che Augusto dovette correre ai ripari durante i primi anni del suo principato, imponendo alle donne di divorziare solo dopo aver partorito al marito almeno tre figli.
C'era, però, una specifica categorie di donne che godeva di uno status giuridico tutto particolare. Le Vestali erano le più alte sacerdotesse di Roma, onorate e rispettate, su cui gravava l'incarico di mantenere il focolare della dea sempre acceso e di restare vergini per tutta la durata trentennale del loro mandato. Se scoperte ad avere rapporti carnali, atto che normalmente veniva scoperto a causa di gravidanze oppure avvenimenti infausti per la città, la pena che spettava loro era terribile: condannate ad essere sepolte vive, le Vestali trascorrevano i loro ultimi giorni allontanate dalla sfera dei vivi. A loro si univano le donne "trasgressive" per antonomasia che la storiografia ci ha tramandato, da Clodia (la Lesbia amata da Catullo) a  Messalina, giungendo sino a Giulia, l'amatissima figlia di Augusto costretta poi all'esilio per la sua scandalosa condotta. Queste figure s'impongono come pilastri avversi all'ideale tradizionale di donna romana, una donna come Cornelia o come Ottavia, la sorella di Augusto, fedele al marito anche quando egli la ripudiò per Cleopatra.
Le donne, dunque, era meglio che restassero nell'ombra, senza aspirazioni di potere o particolari ambizioni, tranne che per la sfera casalinga o materna. L'unico modo per aspirare all'emancipazione era seguire un modus operandi tipicamente maschile, e dunque condannabile. La donna esisteva sempre in funzione di un uomo e se provava ad infrangere le barriere del mos maiorum, era concepita come una "donna facile", di infima condizione, corrotta (e in questa lista si annoverano le prostitute, le attrici, le ballerine...) e pubblicamente derisa. Le prostitute, infatti, erano costrette a tingersi i capelli di rosso e ad indossare una veste di lino succinta e trasparente, a differenza dell'abbigliamento classico della matrona, per sottolineare la sua condizione malfamata.
Sembra che alla donna romana spettasse una mera funzione riproduttiva, come sarà per altri secoli a venire. Erano i figli, la vera potenza femminile. Nella sfera privata la moglie non doveva provare piacere fisico durante l'atto sessuale, che spesso avveniva al buio e completamente vestiti, perchè il sesso all'interno della coppia serviva soltanto a procreare. L'amore e la passione erano spesso ricercati altrove, con la differenza che la donna doveva prendere determinati accorgimenti in caso di relazioni extraconiugali, mentre al marito era tutto concesso (fuorché avesse un ruolo passivo nei rapporti omosessuali). La padrona di casa poteva intrattenere relazioni con altri uomini, spesso schiavi, ma cercando di non farlo sapere; per questo motivo spesso si ricorreva agli schiavi domestici, costretti al silenzio. Tuttavia, spesso i mariti chiudevano un occhio e l'unico caso in cui erano davvero intransigenti era la relazione omosessuale tra due donne, percepita e condannata come la peggiore perversione sessuale che una donna potesse avere.

(Fine prima parte)

Fonti:
Francesca Cenerini, "La donna romana", Società editrice il Mulino, Bologna, 2002
Furio Sampoli, "Le grandi donne di Roma antica", Newton Compton,  2003
Alberto Angela, "Amore e sesso nell'antica Roma", Mondadori, Milano, 2012



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